La paura dellAbbandono

La paura dell’Abbandono

La paura più recondita dell’essere umano è quella dell’abbandono. L’etimologia di questa parola è poco chiara, ma il suo significato è certo: lasciare una cosa completamente.

Ogni essere umano ha paura di essere lasciato completamente da qualcun altro. Questa paura viene generata fondamentalmente da “l’attaccamento” malsano.

Innanzitutto che cos’è l’attaccamento e quando si può definire sano? È quel sentimento narcisistico che il bambino crea prima nei confronti della madre e poi nei confronti del padre; l’amore materno, teoricamente, è quello incondizionato, perché si crea dal rapporto simbiotico generato dalla gravidanza. L’amore paterno, rappresentando l’esistenza umana, cioè il primo vero contatto con il mondo esterno, è condizionato, cioè “ti amo perché soddisfi le mie aspirazioni, perché fai il tuo dovere, perché sei come me” [Erich Fromm – L’arte di Amare]. Ed è giusto che sia così, perché è il primo essere umano esterno che il bambino impara a conoscere. Ma un padre fornisce anche quel contatto fisico, quell’affetto, che riduce questa distanza.

Quindi questo attaccamento è generato da entrambi i genitori, perché è la percezione di cura, premura, amore, regole e conoscenza, che l’essere umano deve ricevere affinché possa crescere diventando un adulto sano.

Compito dei genitori, è quello di, piano piano, ritirarsi, dopo aver fornito tutti gli strumenti necessari ad affrontare la vita adulta. Cosa che inizia ad avvire all’incirca verso l’adolescenza, nel momento in cui c’è la prima vera separazione e dovrebbe terminare, al giorno d’oggi, intorno ai 21-22 anni. Questa separazione deve portare a creare un Uomo e una Donna, cioè degli individui adulti, che si assumono le responsabilità delle proprie azioni, delle proprie paure, delle proprie scelte e delle proprie fragilità, senza mai giustificarsi o scaricare la responsabiltà sugli altri.

Questo è il processo sano, effettuato da genitori consapevoli.

 

Quand’è che diventa malsano? Ci sono varie possibilità.

  1. Quando uno dei due genitori (peggio se entrambi) genera un attaccamento morboso nei confronti del figlio. Che significa? Che utilizza qualsiasi mezzo pur di farlo continuare ad essere il proprio “figlio piccolo”, cioè non riconosce il suo crescere e il suo essere adulto. Tipica frase di questo genitore è: “Per me resterai sempre il mio piccolo bambino”. In realtà, quello che inconsciamente sta dicendo, è che, per primo, il genitore non è arrivato ad essere adulto e si riconosce nel figlio in quanto bambino. Questo legame nel figlio, oltre a generare un’incapacità di crescita, creerà il bisogno di ritrovare nei legami esterni, le stesse caratteristiche (cosa di per sé impossibile, perché nessun individuo esterno può sostituirsi ad un genitore) altrimenti si sentirà abbandonato.

  2. Quando la madre genera un attaccamento meritocratico, che dovrebbe essere prerogativa esclusiva del padre. Infatti il bambino ha necessariamente bisogno dell’amore incondizionato che solo una madre può dare. Se questo attaccamento sano non si dovesse generare, allora si genererà la paura dell’abbandono. Perché il bambino si sentirà abbandonato, lasciato a se stesso. Crederà che l’Amore sia un premio ad un fare e questo genererà dei crocerossini, che cercheranno di fare qualsiasi cosa per gli altri (dimenticando se stessi), per ricevere quell’Amore. Ma questa stessa possibilità, la può generare un padre troppo meritocratico, senza che vada a compensare con una minima parte di amore incondizionato da parte sua (o almeno di affetto profondo, anche fisico). Se ciò dovesse avvenire, a meno che non viene elaborata successivamente, purtroppo, non è compensabile dall’eccessivo amore incondizionato dalla madre, perché genererà maggiormente una paura di abbandono nei confronti della madre. Questa è una delle condizioni per i passivo-aggressivi.

  3. Quando c’è un singolo episodio traumatico. Un esempio potrebbe essere che il bambino si perde e vive questa cosa con terrore. In quel momento si genera la paura dell’abbandono. Oppure a seguito di un incidente o di una malattia, in cui il bambino o il ragazzo (non ancora giunto alla fase adulta) ha rischiato di veder morire i propri genitori (uno o entrambi). Quindi crescendo dovrà avere la certezza che i propri genitori ci saranno sempre. Questo caso esula dal comportamento dei genitori.

Non tutti i casi, però, riguardano i genitori.

Infatti la paura dell’abbandono può essere generata anche da una forte delusione. Per esempio un litigio che genera rottura, o nel quale viene minacciata la rottura (“se non fai questo, io smetto di esserti vicino”), che possa essere creato da un rapporto nel quale la persona ha investito tutto se stesso e verso cui ha generato un fortissimo attaccamento. Per esempio di un migliore amico durante la fase della crescita. Oppure anche una rottura di una relazione di coppia, a qualsiasi età, nel caso in cui, quello che subisce l’allontanamento, non è arrivato alla fase adulta, quindi ha generato quell’attacamento morboso nei confronti del partner (per qualsivoglia motivo).

Un ultimo caso, potrebbe essere un lutto improvviso di una persona amata, quale un/a nonno/a, uno/a zio/a o un amico in fase infantile e adolescenziale, oppure un partner di vita a qualsiasi età.

Ognuna di queste possibilità ha la sua “cura”, se la persona è inconsapevole, cioè la subisce e va ad agire sul trauma.

Quello che invece ti permette di fare un percorso alchemico di consapevolezza, quale è il Life Helping, è quello di smettere di generare attaccamento nei confronti di qualsiasi cosa-persona-situazione, perché ci si rende conto della caducità della vita e si impara ad accettare il cambiamento, così come l’abbandono, come una possibilità.

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